NIKI APRILE GATTI, ADAMO BOVE E IL FILO DI PERLA….

“Ora non ho piu’ occhi
perchè il mio modo di guardare
è spento….”
(Alda Merini)

Riportiamo così come pubblicato il 25 Marzo 2014  dal Giornalista

Emiliano Di Marco su Agoravox

Un filo di perla tra la Dama Bianca, Valter Lavitola, Sergio De Gregorio e Gennaro Mokbel

http://www.agoravox.it/Un-filo-di-perla-tra-la-Dama.html

Le nuove cybermafie tra riciclaggio, eversione neofascista, ‘ndrine calabresi, appalti, servizi segreti paralleli, massoneria, narcotraffico, paradisi fiscali, fondi neri, truffe informatiche, compravendita di voti, tangenti, controllo delle informazioni personali e dossieraggio. Un filo di perla collega alcune delle inchieste giudiziare sul sottobosco berlusconiano. Da Gennaro Mokbel al senatore Sergio De Gregorio, da Valter Lavitola a Federica Gagliardi…

«Tu calcola che ne pago 80 su Roma… delle forze dell’ordine».

(Intercettazione di Gennaro Mokbel)

La gigantesca truffa da 2 miliardi di euro dello scandalo Telecom Italia Sparkle-Fastweb che esplose nel febbraio del 2010 sui media italiani, esponendo alla luce una parte del brulicante mondo del sottobosco della “finanza creativa” del ventennio berlusconiano, come nella migliore tradizione degli scandali del belpaese fece emergere, paradigmaticamente, tra i protagonisti principali, politici, imprenditori dal passato oscuro e l’immancabile ombra dei servizi segreti.

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Il network criminale venuto allo scoperto, almeno in base alle inchieste giudiziarie, rappresenta una vera e propria evoluzione antropologica della criminalità organizzata, una nuova Cyber-Mafia, simile a quelle descritte nella letteratura cyberpunk. Un mondo nel quale il controllo delle informazioni e dei flussi finanziari, frutto di riciclaggio e raggiri, di narcotraffico e commercio di armi, è il cuore di un sistema criminale che non ha confini. Il quadro che emerge è la punta dell’iceberg di un sistema criminale al servizio delle oligarchie finanziarie che, sovrastando gli interessi nazionali, si digitalizzano, si deterritorializzano in denaro elettronico, passando alla velocità delle fibre ottiche da una parte all’altra del pianeta, attraverso le scatole cinesi create nei paradisi fiscali, da San Marino a Hong Kong, da Londra a Managua, da Panama alle repubbliche Caucasiche, da Singapore alle isole Cayman, per poi riapparire nelle filiali europee grazie alla rete di appoggi costituita da faccendieri, broker, società off-shore, clan mafiosi globalizzati, servizi segreti deviati, esperti di diritto, giornalisti, ex terroristi, politici, funzionari ai vertici della pubblica sicurezza e magistrati corrotti.

Fondi neri a Panama

In base all’accusa formalizzata dagli inquirenti, a conclusione delle indagini per l’inchiesta Phuncards-Broker, Telecom Italia Sparkle e Fastweb fungevano da cassa, dalla quale estrarre le somme per il riciclaggio, in cambio dell’aumento dei crediti Iva verso l’erario, dell’aumento di fatturato e dei margini ottenuti grazie alla riappropriazione di parte dell’Iva, pagata alle società “cartiere” C.M.C. s.r.l., Web Wizard srl, I-Globe s.r.l. e Planetarium s.r.l., tutte costituite da altri partecipanti all’associazione. Le uscite per il pagamento dell’Iva prelevate dalle bollette dei clienti nell’ordine di centinaia di milioni di euro, erano spese solo apparenti e venivano versate in favore delle società cartiere, in realtà indirizzate poi su altre società fittizie per creare dei fondi neri.

In Inghilterra l’ingegnoso sistema poteva contare su una rete di imprese fantasma, di cui gli indagati a vario titolo possedevano delle quote societarie che facevano riferimento a Andrew Neave e Paul O’Connor, soci e amministratori della Fulcrum Inc., della società di diritto inglese Acumen Uk Ltd., della Acumen Europe e della società di diritto finlandese ACCRUE Telemedia Oy. Neave risultava anche presidente della Ubique Italia Holding di cui O’Connor era socio, mentre l’ex giudice Colin Dines e suo figlio Edward, figuravano rispettivamente presidente e socio della Diadem Uk Ltd, di proprietà per il 50% della Acumen Uk.

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Il coordinamento dell’inchiesta era passato sotto il controllo della Procura Distrettuale Antimafia di Roma, dopo che due indagini, una della Guardia di Finanza sulle carte telefoniche prepagate Phuncards, la quale aveva scoperto i movimenti sospetti di capitali su un conto corrente, ed un’altra dei ROS sul conto corrente di un imprenditore che aveva dovuto versare una tangente di un milione e mezzo di euro in favore di un ufficiale delle fiamme gialle, Luca Berriola, si erano incrociate con il protagonista principale. La tangente era passata per Panama ed aveva portato i magistrati sulla Broker Management SA di Augusto Murri, dove finivano i flussi finanziari provenienti dalla truffa delle carte telefoniche prepagate Phuncards, in cui un ruolo centrale era assunto da Fabio Arigoni, amministratore unico di Telefox e Telefox International, collaboratore di Gennaro Mokbel.

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Luca Berriola

La rete di società creata dall’imprenditore Gennaro Mokbel si occupava della falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici. L’organizzazione della truffa, ideata dal prof. Carlo Focarelli (docente di diritto internazionale alla LUISS), si avvaleva di complicità e connivenze a diversi livelli, a cominciare dall’avvocato penalista romano Paolo Colosimo, il quale già nel 2007 era finito coinvolto nel crac del gruppo Coppola dell’immobiliarista romano Danilo Coppola; del maggiore Luca Berriola della Guardia di Finanza; fino alla copertura legale dello studio Vitali-Romagnoli-Picardi, fondato dall’ex Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti (in carica nel periodo in cui si consumò la truffa), che ha garantito a Fastweb la fattibilità del traffico telefonico sotto il profilo del regime IVA, non facendo pagare l’Iva sui pagamenti ricevuti dalle società inglesi clienti di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle. Il gap tra l’Iva pagata in Italia dalle due società telefoniche e l’Iva che non veniva incassata dai clienti stranieri consentiva alle due società di creare il proprio credito Iva fittizio.

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Sen. Di Girolamo

Seguendo i movimenti e le conversazioni di Gennaro Mokbel, che aveva rapporti con le ‘ndrine calabresi per le operazioni di riciclaggio, e di Luca Berriola, gli inquirenti scoprirono che l’elezione del senatore Nicola Di Girolamo, in una circoscrizione degli elettori italiani all’estero, era stata ottenuta grazie al sostegno degli affiliati del clan calabrese degli Arena di Isola Capo Rizzuto.

Un ramo dell’inchiesta toccò poi anche gli interessi di Gennaro Mokbel nell’affare della compravendita di gioielli e diamanti, estratti in Uganda e lavorati in Cina, un intreccio di società ed investimenti all’estero, riciclaggio di denaro, gestiti da Marco Toseroni e Silvio Fanella, il cassiere di Mokbel.

Al processo in primo grado, conclusosi lo scorso ottobre, sono stati condannati Gennaro Mokbel (15 anni), sua moglie Giorgia Ricci (8 anni), Carlo Focarelli (11 anni), Luca Berriola (7 anni), Paolo Colosimo (5 anni e 4 mesi). Assolti tutti gli altri personaggi coinvolti nell’inchiesta giudiziaria.

Finmeccanica nera

L’indagine investì anche la galassia nera di Finmeccanica. Nel 2011 la magistratura scoprì un giro di appalti e ricche commesse per l’Enav, l’Ente Nazionale di Assistenza al Volo, e alcune società della holding di Stato di via Montegrappa. L’inchiesta portò agli arresti domiciliari Guido Pugliesi, amministratore delegato dell’Enav, Manlio Fiore direttore tecnico di Selex Sistemi Integrati e Marco Iannilli il commercialista del “sistema Mokbel”. In base all’accusa, i lavori assegnati a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc Trade, Techno Sky e altre erano sovraffatturati per redistribuire i ricavi tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav.

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Il drone “Hammerhead” di Piaggio Aero e Selex ES

Dall’inchiesta emerse anche che Finmeccanica aveva ceduto a Gennaro Mokbel il 51% delle quote di una delle sue società, la Digint, pagate ad un prezzo considerato molto superiore al loro valore reale. La mediazione venne portata avanti dal superconsulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, attraverso il manager Marco Iannilli, con una transazione che fece finire su due suoi conti svizzeri circa 8 milioni e mezzo di euro. L’inchiesta coinvolse anche uno dei manager della società di revisione Ernest & Young Italia, Giuseppe Mongiello, dalle cui dichiarazioni i magistrati appresero le relazioni dirette tra Cola ed i vertici del SISMI, in quanto il superconsulente avrebbe prospettato a Mongiello il progetto a casa sua in compagnia del capocentro di Milano del servizio segreto militare, Maurizio Pozzi.

Finmeccanica era particolarmente interessata all’acquiszione della tecnologia sviluppata dalla Ikon di Garbagnate Milanese, una software house che produce programmi di spionaggio elettronico, anche per uso militare, creata nel 2000 da Fabio Ghioni, conosciuto come Divine Shadow, l’hacker più famoso d’Italia, diventato poi capo della security informatica di Telecom. La Ikon era poi passata sotto il controllo della Digint. Il senatore Nicola Di Girolamo, coinvolto con Mokbel e Marco Toseroni nell’indagine, avrebbe poi spiegato ai magistrati che l’obiettivo vero dell’operazione Digint era di creare un fondo nero finalizzato al libero accesso alle forniture di armamenti prodotti dal gruppo Finmeccanica, da collocare sul mercato asiatico, attraverso una società che sarebbe poi stata aperta a Singapore e Hong Kong. L’operazione però non fu portata a termine perché Finmeccanica non avrebbe dato seguito alle richieste di armamenti.

Nell’indagine furono coinvolti i vertici di Finmeccanica. Guarguaglini si difese sostenendo di non conoscere Lorenzo Cola, lo sconosciuto e potentissimo superconsulente che usava portare una svastica appesa al collo, collezionista di cimeli appartenuti ad Adolf Hitler, il quale però in carcere scrisse un memoriale di 39 pagine, consegnato poi al settimanale l’Espresso, in cui rivelò alcuni dei retroscena inediti della gestione dell’amministratore delegato e di sua moglie, dimostrando invece il ruolo assunto in alcune trattative riservate con la Libia di Gheddafi per entrare nel capitale di Finmeccanica e per l’acquisizione della società americana Drs Technologies.

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Durante l’inchiesta relativa alla vicenda Digint-Finmeccanica fu gambizzato nel suo studio legale Piergiorgio Manca, avvocato di Marco Iannilli, e fu trovato morto nel carcere di massima sicurezza di Sollicciano (FI), dopo soli quattro giorni dal suo arresto, Niki Aprile Gatti, un programmatore di 26 anni che lavorava da un anno e mezzo per la Oscorp SpA, finito involontariamente nell’inchiesta Premium sui numeri a pagamento 899 e 892, in cui erano state incriminate la Oscorp SpA, Orange, AT&T e TMS, tutte residenti a San Marino, la FlyNet di Piero Mancini, Presidente dell’Arezzo Calcio, più altre società con sede a Londra. Pochi giorni dopo il padre del giovane programmatore trovò l’appartamento dove viveva suo figlio a San Marino completamente ripulito. Casualmente anche la sede della Oscorp SpA risultò aver subito una visita dei ladri.

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Niki Aprile Gatti

Il ragazzo, l’unico dei 18 arrestati che non si avvalse della facoltà di non rispondere, fu messo in cella con due pericolosi detenuti e morì 10 ore dopo aver chiesto di parlare con i magistrati. Durante i pochi giorni in carcere, aveva ricevuto un telegramma in cui gli si chiedeva di cambiare avvocato e di eleggere domicilio legale presso lo studio dell’avvocato Umberto Guerini di Bologna, un ex consigliere comunale del PSI che, quando era nel collegio di difesa dei familiari delle vittime della strage di Bologna, fu espulso per il suo coinvolgimento nella calunnia di due giudici, attraverso il settimanale Critica Sociale del PSI. In seguito, una nota del giudice Persico fece emergere i rapporti tra l’avvocato Guerini ed il SISMI (tutta la vicenda qui). Umberto Guerini era anche Presidente del CdA della Sofisa, una società finanziaria di San Marino, che aveva rapporti con la Oscorp Spa. La società, divenuta poi SIBI fu messa sotto commissariamento. L’avvocato Guerini aprì poi una filiale a Londra, la Sofisa Uk Ltd.

L’inchiesta Premium, poi sparita dai radar, presentava delle analogie con l’inchiesta Phuncards-Broker e portò i magistrati inquirenti fino a Londra, dove a gestire le operazioni finanziarie erano la Plug Easy e la Global management ltd, di proprietà di due calabresi di Cirò Marina, Francesco e Giuseppe Cimieri, che insieme a Carlo Contini avrebbero riciclato 55 milioni di euro del boss di Niscemi, Salvatore Menzo. I cittadini colpiti dalla truffa si trovavano sulle bollette telefoniche caricati dei pagamenti per servizi 899 e 892 (fino a 12,5 euro per minuto), che venivano distribuiti poi alla FlyNet per il 10%, il 24% alla società assegnataria dei numeri di tariffazione internazionale, ed il 64% alla società dei fratelli Cimieri.

 

Un faccendiere battente bandiera panamense

«Lavitola mi ha sempre detto che dietro i contratti tra Finmeccanica e il governo di Panama c’era un nero di 30 milioni di euro destinato al presidente Martinelli, che era in società con lui, e che il suo contratto di consulenza con Finmeccanica, per 30 mila dollari, era solo la sua copertura a Panama».

(Dichiarazione di Mauro Velocci, presidente di Svenmark)

Altre grane relative al periodo della gestione Guarguaglini della holding Finmeccanica sono piovute dal fronte giudiziario sulla trattativa per la commessa di elicotteri e sistemi di difesa alla Repubblica di Panama. Per la vicenda sono stati rinviati a giudizio, l’ex direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzessere e il faccendiere Valter Lavitola, in buoni rapporti con il presidente di Panama Ricardo Martinelli, con l’accusa di aver preteso un illecito guadagno “attraverso il pagamento da parte delle società (…) di oneri per assistenza e consulenza alla società Agafia Corp SA allo scopo costituita e di fatto riconducibile a Ricardo Martinelli”.

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R. Martinelli e B.Obama

Le tangenti pretese da Valter Lavitola erano almeno due, una per l’aggiudicazione dell’appalto da 176 milioni di euro alla Svemark di Vazzola (Tv), società del consorzio Precetti, per la realizzazione di 4 carceri modulari a Panama City (affare poi sfumato), l’altra per la fornitura di di un sistema di vigilanza costiera, cartografie e sei elicotteri, appaltato alle società Telespazio Argentina, Agusta Weestland e Selex Sistemi Integrati del gruppo Finmeccanica per 230 milioni di euro. L’accordo fu sottoscritto nel giugno del 2010, con tanto di tangenti, di cui una da 18 milioni di euro solo per il presidente Martinelli. Tra gli accordi anche una compensazione industriale per i lavori di allargamento del canale di Panama, che avrebbe interessato la Impregilo. Lavitola avrebbe promesso un trattamento di riguardo al colosso italiano per la realizzazione della metropolitana di Panama City, un affare per un miliardo e mezzo di euro, in cambio del quale Impregilo avrebbe dovuto finanziare un ospedale che sarebbe stato realizzato da una ditta vicina al presidente del paese centroamericano (affare poi sfumato).

“Papa (Alfonso ndr) mi ha sempre detto che il suo amico maresciallo (Enrico Giuseppe Francesco La Monica, uno degli indagati, ndr) era persona introdotta negli ambienti giudiziari in grado di assumere notizie riservate riguardanti procedimenti penali. Mi ha detto più volte che il militare era una delle sue “fonti”. Papa mi disse che il maresciallo La Monica si era rivolto a Lavitola per essere raccomandato per entrare all’Aise. Tale circostanza me l’ha riferita il colonnello Sassu che mi disse che Lavitola aveva raccomandato il maresciallo a Berlusconi che aveva poi parlato con qualcuno all’Aise”.

(Dichiarazione di Luigi Bisignani al PM John Woodcock il 9 marzo 2011)

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Nato a Salerno nel 1966, il “giornalista-imprenditore” Valter Lavitola è stato editore, con la cooperativa International Press, dell’Avanti!, consulente e faccendiere, titolare di diverse società tra cui la VL Consulting, con sede a Roma, una società di ricerca, progettazione e formazione, con la quale ha avuto un contratto di consulenza per un anno con Finmeccanica. In società con Neire Cassia Pepes Gomes della Empresa Pesqueira de Barra de São João, con base a Rio De Janeiro, ha interessi nell’import-export di pesce surgelato, congelato ed essiccato. Nel 2004 è stato candidato alle europee nella lista di Forza Italia, primo dei non eletti con 51.283 voti di preferenza. A partire dal 2010 è protagonista di diversi scandali, come la “bufala” che colpì il cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, per la vicenda dell’appartamento di Montecarlo.

“Lei (Silvio Berlusconi ndr), subito dopo la formazione del governo, in questa legislatura, con Verdini e Ghedini presenti, mi disse che era in debito con me (…) per aver io comprato De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie dalla procura di Santa Maria capua Vetere, da dove erano arrivate le pressioni per il vergognoso arresto della moglie…”

(Lettera di Valter Lavitola a Silvio Berlusconi)

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Sergio De Gregorio

Per sua stessa ammissione, Lavitola ha contribuito alla caduta del governo Prodi, facendo pervenire al ministro della Giustizia Clemente Mastella la notizie di essere indagato dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per una tentata concussione nei confronti del direttore generale dell’Ospedale di Caserta, Luigi Annunziata. Pochi giorni prima era stata arrestata la moglie del ministro di Ceppaloni, Sandra Lonardo, allora presidente del consiglio regionale della Campania, per le indagini dell’inchiesta Why Not?, un’inchiesta per frode e truffa sui fondi pubblici regionali e comunitari della Calabria e della Basilicata, destinati alla formazione di personale specializzato in informatica, che ruotava intorno ad una misteriosa loggia massonica coperta, chiamata la Loggia di San Marino. L’inchiesta (e le manovre di Lavitola) provocarono la fuoriuscita dell’Udeur dalla maggioranza, grazie anche al ruolo centrale assunto dal senatore Sergio De Gregorio il quale si unì al gruppo di senatori “dissidenti”, facendo cadere il governo di centro-sinistra, il 24 gennaio del 2008.

Il patto del tradimento era stato siglato tra Lavitola, De Gregorio e Silvio Berlusconi, il 30 marzo 2007, ad una manifestazione del movimento Italiani nel Mondo, a Reggio Calabria. Al senatore andarono un milione di euro per il suo movimento, e due milioni di euro in nero da Lavitola (il quale però sostiene che De Gregorio abbia ricevuto 8 milioni). Il faccendiere salernitano e il senatore dissidente dell’Italia dei Valori si misero all’opera poi per acquistare altri senatori offrendo dai 2 ai 5 milioni di euro e la rielezione sicura alle successive elezioni. De Gregorio e Berlusconi, secondo i magistrati, avevano un accordo già nel 2006, quando il senatore dell’IdV fu eletto presidente della commissione Difesa del Senato, con i voti determinanti del centrodestra. In commissione, a partire dal 2007, sposterà il suo voto con quello dell’opposizione di centrodestra, mandando in minoranza (13 contro 11) la “maggioranza”, e iniziando un’azione di disturbo e di provocazione dell’ala antimilitarista del governo Prodi, sin dall’estate del 2006, quando (non a caso) incontrò l’ambasciatore americano Ronald Spogli. La crisi del governo Prodi ebbe effetti drammatici, con il voto anticipato ed il radicale mutamento del quadro politico. Un motivo valido affinché Berlusconi tenesse in grande considerazione un personaggio come Lavitola anche successivamente.

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P.Tarantini

Tra il 2010 ed il 2011 Valter Lavitola emigra opportunamente in America Latina, rendendosi irreperibile ai mandati di cattura per truffa fraudolenta, in concorso con il senatore del PdL Sergio De Gregorio, per i finanziamenti erogati su dati di vendita gonfiati, in base alla legge sull’editoria, tra il 1997 ed il 2009, al quotidiano l’Avanti, di cui Lavitola era anche direttore. I guai di Lavitola che era indagato con l’imprenditore pugliese Paolo Tarantini per la vicenda delle escort per l’utilizzatore finale di Palazzo Chigi, riguardavano anche una vicenda ancora più scottante: le modalità di recruiting nella nuova agenzia per i servizi segreti, l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna).

Indagati dai magistrati dell’inchiesta sulla cosiddetta P4, e chiamati a chiarire i meccanismi di raccomandazione per entrare nei servizi segreti, il faccendiere Luigi Bisignani e il deputato ed ex magistrato Alfonso Papa, dichiareranno che il carabiniere a cui si rivolgevano, in grado di ottenere o divulgare informazioni sulle indagini in corso, era Enrico La Monica, il quale si era rivolto a Lavitola per essere raccomandato nell’AISE. Successivamente, per sfuggire nelle indagini, sarebbe stato mantenuto in Senegal da Lavitola (almeno stando a quanto il faccendiere salernitano dichiara nella lettera a Berlusconi). Lavitola, secondo Bisignani, aveva già fatto entrare nei servizi il colonnello Giuseppe Sassu (in forza al DIS). La vicenda venne poi confermata da uno dei dirigenti del servizio segreto, Giuseppe Santangelo, che riferirà ai magistrati che la raccomandazione per La Monica era arrivata dal vicedirettore dell’AISI e direttore della rivista Gnosis, Francesco La Motta (arrestato nel giugno del 2013 con l’accusa di aver costituito dei fondi neri in Svizzera e favorito il clan Polverino-Nuvoletta nelle attività di riciclaggio, informando anche i camorristi delle indagini a carico da parte degli uffici giudiziari). L’inchiesta finirà anche per gettare fango sul nuovo direttore dell’AISI, il generale Adriano Santini, tirato in ballo da Bisignani, che riferì ai magistrati di aver ricevuto una segnalazione per raccomandarlo a Gianni Letta da parte dell’onorevole Italo Bocchino.

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Francesco La Motta

La circostanza che ha portato all’arresto l’ex vicedirettore dei servizi segreti civili, Francesco La Motta, ha trascinato nelle indagini giudiziarie altri funzionari del ministero dell’Interno, come il prefetto Angela Pria, capo del dipartimento Libertà Civili ed Immigrazione, il prefetto Lucia Di Maro, direttrice del Fondo per gli Edifici di Culto, il prefetto Bruno Frattasi, capo dell’Ufficio Affari Legislativi e Relazioni Parlamentari, ed altri dirigenti e funzionari.

La gravissima accusa di collusione con la camorra al dirigente dei servizi segreti ha un parallelo con un’altra vicenda giudiziaria che interessa invece l’ex senatore De Gregorio. Il 26 aprile 2005 la Guardia di Finanza arrestò a Marano Rocco Cafiero, detto ‘o caprariell’, un importante contrabbandiere e riciclatore, considerato un anello di congiunzione tra le centrali di narcotraffico e droga del nord Africa, della Grecia, del Montenegro, tra la Sacra Corona Unita ed il clan Nuvoletta-Polverino di Marano e Quarto di Napoli. Tra i beni mobili ed immobili sequestrati, le fiamme gialle trovarono anche assegni dell’importo di 500.000 euro firmati o girati da De Gregorio. Nel filone d’inchiesta sui Nuvoletta-Polverino, emersero anche le implicazioni dell’avvocato Bruno Turrà, candidato alle comunali di Napoli con l’Italia dei Valori nel 2006, e alle regionali in Campania del 2010 con il movimento Italiani nel Mondo. Sua moglie, Gaia Morace, è socia della Italiani nel Mondo Channel s.r.l., di cui anche il marito (fino al 2008) era consigliere. In una dichiarazione del collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, faccendiere dei clan di Giugliano ed i casalesi, dichiarò che a presentargli Turrà fu Gaetano Cerci, genero del boss Bidognetti e collegato a Licio Gelli, il quale gli rivelò che “aveva una parte delle quote del Magic World di Licola mentre la restante parte era di proprietà dei Mallardo (clan di camorra del giuglianese) tramite prestanome” (Alessandro De Pascale, La compravendita, pag.93)

La latitanza di Lavitola a Panama, con auto di lusso e bodyguard presidenziali, non gli impediva di seguire le missioni di Silvio Berlusconi in America Latina. Oltre che a Panama, Lavitola è stato l’organizzatore dei pernottamenti del premier anche in altre occasioni ufficiali, come in occasione del Forum Italia-Brasile di San Paolo, dove il faccendiere organizzò anche una serata con sei ballerine di lap-dance nella suite dell’Hotel Tivoli. Dell’incontro sarebbe esistito anche un leggendario video a luci rosse, girato da Lavitola all’insaputa del premier, che sarebbe stato fatto opportunamente sparire dai computer del faccendiere dall’imprenditore Mauro Velocci. Nel video, stando alla leggenda, si vedrebbe anche il presidente di Panama, Martinelli, mentre assume cocaina.

 

Lo scandalo Telecom-SISMI del 2006

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Marco Mancini

La Telecom, appena quattro anni prima della vicenda Telecom Italia Sparkle – Fastweb, era stata già investita dallo scandalo Telecom-SISMI, che portò alla luce un sistema di intercettazioni illegali ad alto livello tecnologico, effettuate dai responsabili della sicurezza della compagnia telefonica, in complicità con poliziotti, carabinieri, finanzieri ed agenti segreti italiani ed esteri. Le informazioni su politici, imprenditori, giornalisti, magistrati, personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, venivano raccolte e dossierate da tre ex carabinieri che negli anni ’80 avevano fatto parte della SSA, la Sezione Speciale Anticrimine nella squadra antiterrorismo, gli “Invisibili”, creata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: Giuliano Tavaroli, capo della sicurezza in Telecom; Marco Mancini, diventato numero 2 del SISMI; ed Emanuele Cipriani, titolare di tre agenzie private di investigazione: la Polis d’Istinto di Firenze (con sede legale in un ufficio di Firenze intestato alla nuora di Licio Gelli), la Plus Venture Management delle Isole Vergini, la Security Research Advisor di Londra (con fatturati per il 50% della Polis e fino all’80% di PVM e SRA basato su commesse di Pirelli e Telecom).

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Giuliano Tavaroli

I tre raccoglievano le informazioni illegalmente avvalendosi di un gruppo di hacker da loro creato, chiamato Tiger Team. L’attività di dossieraggio poteva contare inoltre su ex collaboratori del SISDE, come Marco Bernardini e Giampaolo Spinelli (ex agente CIA in Italia); l’ex capo della sicurezza informatica di Telecom Fabio Ghioni; il capo della security di Pirelli e Telecom Giuliano Tavaroli (che disponeva di 500 uomini al suo servizio); l’ex ufficiale di collegamento tra i servizi segreti italiani e francesi, poi funzionario dell’Europol all’Aja, Fulvio Guatteri; e il giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo Sasinini.

Il gruppo agiva come una sorta di Intelligence parallela, vendendo i dossier informativi ad agenzie, uomini di potere e giornalisti, ed era in grado anche di acquistare le note informative prodotte dai servizi segreti civili, ad un prezzo che oscillava tra i 2000 ed i 4000 euro a fascicolo (come rivelerà Marco Bernardini ai magistrati).

“…tutto quanto è reale ora vive anche dentro un’altra dimensione, dentro un’altra scatola, o dentro un altro corpo, se vuoi. Come in Avatar. La rete, il web, internet sono il nostro Pandora, sono un altro pianeta. Un mondo che ha caratteristiche geofisiche differenti, costumi, leggi, e forme di illegalità…diverse. La gente se ne accorge quando qualche pazzo pubblica le peggio nefandezze su Facebook, e sembra che nessuno possa impedirlo. Ma bisogna capire il perché…”

(Tratto da un’Intervista a Fabio Ghioni su Affari Italiani)

 

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Fabio Ghioni

Fabio Ghioni, con l’imprenditore Roberto Preatoni, svolgeva un ruolo strategico, effettuando delle incursioni nei sistemi informatici, grazie al Tiger Team, di cui facevano parte alcuni hacker come Alfredo Melloni, Rocco Lucia e Andrea Pompili, i quali vennero incaricati anche di mansioni ufficiali, come la gestione della sicurezza informatica del vertice Nato-Russia di Pratica di Mare del 28 maggio 2002, un vertice in cui debuttò la Protezione Civile di Bertolaso in veste di struttura organizzatrice dei grandi eventi. Il sistema ideato da Ghioni, con gli attacchi informatici ai gruppi imprenditoriali, veniva accompagnato poi sotto la veste di una società di consulenza informatica, dall’offerta di consulenza per la protezione informatica ai sistemi. Un sistema che nei fatti riproduceva il metodo del”cavallo di ritorno”, che andò avanti fino a quando l’RCS non presentò formale denuncia.

Durante l’inchiesta che ne scaturì, morì a Napoli il responsabile della sicurezza interna di Telecom Italia Mobile, Adamo Bove, cadendo da un viadotto della Tangenziale di Napoli, il 21 luglio del 2006. Attraverso Bove il servizio segreto parallelo di Mancini, Tavaroli e Cipriani era in grado di acquisire informazioni sul traffico degli utenti di Tim ed altri gestori, con dei sistemi operativi speciali, il Circe, ed il Radar.

Le utenze sotto controllo interessavano manager, gruppi imprenditoriali, ma anche militari e funzionari di Stato, dei ministeri della Difesa, degli Esteri, militari dei comandi dei carabinieri. Il gruppo collaborava anche con i servizi segreti esteri, attraverso Mancini, come appurato dai magistrati. L’indagine della magistratura su Mancini fu fermata dall’apposizione del segreto di Stato.

 

Chi è Gennaro Mokbel?

“Gennaro Mokbel secondo me è un uomo molto più potente di quanto non si ritenga. E anche ridurlo al rango di…come dire, di riciclatore o di raccoglitore di denaro illecito forse è un po’… è sbagliato. Secondo me Mokbel è alla testa di qualcosa d’importante, dal punto di vista politico e in questa logica si muovono anche altri personaggi, al di là di Andrini, ma anche altri. Mokbel è il punto di emergenza di una… come dire, di una suborganizzazione di Alleanza Nazionale.”

Avv. Carlo Taormina in Report, puntata del 21 novembre 2010

 “Un ragazzino sbandato, avvezzo alla violenza e alle droghe, un capellone con idee anarchiche fino a 20 anni, poi estremista di destra, che si autodefiniva naziskin, un ragazzetto nato negli anni ’60 nella zona di piazza Bologna da una famiglia piccolo borghese, uno che militò nella gioventù nera romana all’epoca che preludeva agli anni di piombo“.

Valerio “Giusva” Fioravanti

 

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M. Carminati

Gennaro Mokbel, nato nel 1960, figlio di un diplomatico egiziano, di madre napoletana, cresciuto a Roma nel quartiere Nomentano, collezionista di busti di Hitler e Mussolini, ex compagno di scuola di Francesca Mambro, frequentatore fin da giovanissimo dell’eversione di destra, tra la Banda della Magliana e la galassia neofascista, come Massimo Carminati, è sicuramente uno dei personaggi più controversi e rappresentativi dell’Italia degli ultimi due decenni, a cui il vestito di “faccendiere” sembra calzare a pennello, sicuramente più di quello di imprenditore, di broker o di politico.

Enrico De PedisQualche piccolo problema con la giustizia per reati di droga tra il 1980 ed il 1982, poi all’arresto eclatante, il 22 maggio del 1992 quando, nell’ambito delle indagini sull’assassinio del boss Enrico “Renatino” De Pedis, a casa sua venne trovato in compagnia di Antonio D’Inzillo, ex militante dei NAR collegato alla Banda della Magliana. Mokbel aveva 32 anni e Antonio D’Inzillo era un personaggio già noto nella criminalità romana (il “pischello” di Romanzo Criminale).

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Valerio Fioravanti

Figlio di un noto ginecologo romano, il 17 dicembre del 1979, quando aveva 16 anni, D’Inzillo aveva fatto parte del commando che doveva uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli. Il mandante dell’omicidio, Sergio Calore, di Ordine Nuovo, per vendicare un tradimento, incaricò dell’esecuzione Valerio Fioravanti e Bruno Mariani i quali, non conoscendo le fattezze fisiche di Arcangeli, sbagliarono e colpirono a morte il povero Antonio Leandri, uno studente ventiquattrenne che si trovava per caso davanti l’abitazione dell’obiettivo. In quell’occasione D’Inzillo ebbe il compito di guidare l’auto durante la fuga, durante la quale, dopo essersi divisi, vennero arrestati Mariani, Calore e D’Inzillo, a bordo di un’altra auto “pulita”, sulla quale vennero ritrovate armi e bombe. In questura D’Inzillo, dopo aver appreso la notizia della morte di un innocente, confessò in lacrime.

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M. Colafigli

Nel 1985 l’ex baby killer D’Inzillo è scarcerato per decorrenza dei termini, ma ormai è nel giro. Nel 1989 viene condannato a quattro anni per possesso di armi. Esce dopo soli due anni, ma in carcere entra in contatto con la Banda della Magliana. Dopo aver ucciso per “errore” la fidanzata, durante una lite, fugge in Belgio. Viene condannato in contumacia all’ergastolo, con l’accusa di aver guidato la moto accompagnando Marcello Colafigli sul luogo dell’assassinio di De Pedis, per ordine degli scissionisti della banda.

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Gennaro Mokbel

Dopo l’arresto in casa di Mokbel, D’Inzillo riuscì misteriosamente a fuggire, cosa possibile solo grazie a speciali coperture, e far perdere le sue tracce fino al 26 giugno 2008, quando Il Giornale riportò la notizia secondo cui sarebbe morto di epatite fulminante a 44 anni a Nairobi, in Kenya, con il corpo cremato mezz’ora dopo il decesso. Lo stesso articolo riporta una informativa secondo cui D’Inzillo avrebbe lavorato al servizio di apparati governativi come coordinatore militare di attività illecite e segrete, quali la raccolta e il trasporto di legname rubato in territorio sudanese oltre al traffico di particolari risorse minerarie, come l’oro del Congo. Avrebbe ricoperto anche un ruolo con la Lord Resistance Army, organizzazione paramilitare d’ispirazione cristiana specializzata in scorribande oltre confine, sovrintendendo i gruppi armati a difesa dei lavori per la costruzione di strade, partecipando come consulente alla costruzione di una diga. La magistratura riteneva che i diamanti da 150 carati e le pietre preziose sequestrate a Gennaro Mokbel provenissero proprio dall’Uganda.

 

Via Gradoli 96, la tela del ragno

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Mario Moretti

Altra vicenda che ruota intorno al personaggio Gennaro Mokbel riguarda la sorella, Lucia Mokbel, la quale abitava a civico 96 di via Gradoli, proprio la porta di fianco all’interno 11 dove era situata la base operativa delle BR di Mario Moretti. Il palazzo di via Gradoli fu perquisito senza esito dalla polizia, il 18 marzo del 1978, due giorni dopo il rapimento dello statista, al comando del vicequestore Elio Cioppa, capo del Reparto Mobile, poi divenuto responsabile del SISDE di Roma (tessera P2 n. 1890, fasc. 0658).

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Lucia Mokbel all’epoca del sequestro Moro era una studentessa universitaria, conviveva con Gianni Diana ed aveva avuto in comodato l’uso dell’appartamento all’interno 9 di Via Gradoli 96 circa un paio di mesi prima del rapimento. Gianni Diana era domiciliato presso lo studio del commercialista Galileo Bianchi, in via Ximenes 21, ed era collega di un’altra inquilina di Via Gradoli 96, Sara Iannone Bianchi. Il covo brigatista fu scoperto causalmente il 18 aprile del 1978, per una doccia lasciata “maldestramente” aperta, causando l’allagamento del bagno e un’infiltrazione d’acqua nell’appartamento sottostante. I condomini chiesero l’intervento dei vigili del fuoco, che scoprirono così il covo brigatista, mentre una redazione romana riceveva una telefonata con le indicazioni per il ritrovamento del falso comunicato n.7 (il comunicato della “Duchessa”) in cui veniva annunciata la morte di Aldo Moro.

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Via Gradoli 96

Pochi giorni dopo Gianni Diana divenne amministratore della società Monte Valle Verde srl, immobiliare proprietaria degli appartamenti di Diana e Iannone che, in seguito allo scandalo dei fondi neri del SISDE del 1993, si scoprì essere una società di copertura dei servizi segreti. Ben 24 dei 66 appartamenti delle due palazzine di via Gradoli erano di proprietà di tre società, la Monte Valle Verde s.r.l., la Caseroma s.r.l. e la Gradoli S.p.A., tutte fiduciarie del SISDE.

L’appartamento-covo delle BR era stato affittato da Moretti con un contratto (privo di date e di decorrenza) stipulato nel 1975, a nome di Mario Borghi, che non venne mai registrato. I proprietari dell’immobile, i coniugi Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi non inserirono nel contratto l’utilizzo del box auto del garage in via Gradoli 75, che invece veniva usato regolarmente dal capo delle BR. Dopo il sequestro Moro, Giancarlo Ferrero divenne un potente manager di informatica e telecomunicazioni, con incarichi che richiedevano il NOS (“Nulla Osta Sicurezza”, rilasciato dalla NATO, previo parere favorevole degli organismi di sicurezza italiani), fino a diventare consigliere d’amministrazione di OMNITEL Italia e amministratore delegato della Bell Atlantic International Italia srl, la multinazionale americana di servizi e prodotti delle telecomunicazioni, fornitrice anche di apparati di sicurezza e militari.

Lucia Mokbel, al primo processo Moro, raccontò che, in occasione delle perquisizioni effettuate il 18 marzo 1978 nello stabile di via Gradoli, consegnò un bigliettino ai poliziotti chiedendo venisse fatto pervenire al vicequestore Cioppa, in cui lei faceva sapere di aver sentito alle tre di notte il ticchettìo di una trasmissione in codice Morse che proveniva dall’interno 9. Il bigliettino sarebbe poi misteriosamente sparito.

 

Affari dal “pollice verde”

“Ma è possibile acciuffà quello sulla Colombo?”

“No, quello è di Salabè, un operatore dei servizi segreti”.

(Intercettazione telefonica tra Giancarlo Scarozza e Carmine Fasciani, boss di Ostia)

Lucia Mokbel è sposata con il costruttore Giancarlo Scarozza, figlio di Maria Antonietta Finocchi e nipote dell’ex numero 2 del SISDE, Michele Finocchi, coinvolto con il direttore amministrativo del servizio segreto civile Maurizio Broccoletti nello scandalo dei fondi neri del SISDE. La coppia Mokbel-Scarozza finì nel mirino della magistratura per l’affare dei Punti Verde Qualità della giunta Alemanno, un affare che più che verde prese le tinte fosche del nero. Dodici dei punti verdi appaltati risultarono riconducibili a parenti ed amici di Antonio Lucarelli, ex leader di Forza Nuova, poi capo della segreteria di Alemanno, che nel 1995 fondò la Mondo Verde sas, quando era consigliere della V Municipalità, ottenendo sotto la giunta Rutelli due terreni per i Punti Verde: la Torraccia e Nomentano San Basilio. Molti lavori appaltati per milioni di euro non vennero effettuati. Giancarlo Scarozza ebbe invece l’assegnazione dei lavori, per conto della Mondo Verde, per i Punti verdi di Castel Giubileo e Forte Ardeatino. La Mondo Verde sas sul finire degli anni ’90 passò nelle mani di Silvio Fanella, per poi passare a Fabrizio Moro nel 2006, amico di Lucarelli.

 

Un “portiere” al Senato

“Per me Nicò puoi diventà pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio”

(Intercettazione telefonica tra Gennaro Mokbel e Nicola Di Girolamo)

I legami con la malavita di Gennaro Mokbel sono proseguiti negli anni fino ai contatti con i clan della ‘ndrangheta, come emerso nella vicenda dell’elezione del senatore Nicola Di Girolamo, spacciato per residente all’estero, il quale ha beneficiato del sostegno elettorale degli espatriati della ‘ndrina degli Arena.

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Mokbel aveva tentato la strada politica fondando, nel 2003, Alleanza Federalista, un movimento politico che orbitava nell’area politica della Lega Nord. In seguito ad alcuni dissidi diede poi vita poi al Partito Feralista Italiano, che nel 2008 riuscì ad eleggere Nicola Di Girolamo al Senato nella circoscrizione europea degli italiani all’estero, grazie ai voti procacciati dalle ‘ndrine nell’area di Stoccarda (22.875 voti validi). Mokbel poi entrerà nell’orbita del senatore De Gregorio, con il suo senatore-portiere che diventerà uno dei cinque Soprano’s della Fondazione Italiani nel Mondo: Sergio De Gregorio, Basilio Giordano, Amato Berardi, nato negli USA, presidente del Niapac” – National american committee -, responsabile di un fondo in grado di gestire 60 miliardi di dollari; Nicola Di Girolamo, ed il gentiluomo di Sua Santità, l’italo argentino Juan Esteban Caselli.

Il senatore Di Girolamo, dopo l’arresto, portò a conoscenza dei magistrati i rapporti tra Mokbel ed i servizi segreti, dichiarando di essere stato presentato a due amici di Mokbel, il colonello Luciano Zeno del SISMI (condannato in I° grado a tre anni per il sequestro dell’Imam Abu Omar) e Marco Mancini.

 

Mokbel nella fascistopoli di Alemanno

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Oltre ad Antonio Lucarelli, altri personaggi provenienti da Avanguardia Nazionale, MSI, Fronte della Gioventù, Nuclei Armati Rivoluzionari, Ordine Nuovo, Forza Nuova, Terza Posizione, Casa Pound e Blocco studentesco hanno affollato la fascistopoli di Gianni Alemanno, andando ad occupare pezzi dello scacchiere istituzionale romano.

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Stefano Andrini

Un’interrogazione parlamentare presentata in Senato il 13 dicembre 2010, denunciò le centinaia di assunzioni a chiamata diretta effettuate nelle società municipalizzate, come Atac, Trambus e Ama e Acea. All’Atac fu addirittura creata una sezione NAR (Nucleo Amministrativo Rimessa), nella quale lavorava Francesco Bianco, ex NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), arrestato negli anni ’80 per rapine e omicidi, mentre Gianluca Ponzio (ex terza Posizione, arrestato per possesso di armi) rivestiva l’incarico di Capo servizio relazioni industriali dell’Atac. A dirigere l’Ama, Alemanno invece aveva piazzato Stefano Andrini, ex naziskin, più volte arrestato per tentato omicidio di giovani di sinistra e possesso di armi, autore di diverse aggressioni razziste, considerato il vero deus ex Machina di Mokbel (e non solo). A capo dell’Eur Spa invece c’era Riccardo Mancini, ex Avanguardia Nazionale (processato e condannato insieme a Stefano Delle Chiaie ed Adriano Tilgher nel 1988 per possesso di armi), da giovane amico di Massimo Carminati della Banda della Magliana, dimessosi in seguito all’accusa di tangenti per l’appalto per l’acquisto di 45 bus dalla Breda Menarinibus. Maurizio Lattarulo, ex braccio destro del boss della Banda della Magliana, Enrico “Renatino” De Pedis, consulente dell’assessorato alle politiche sociali del Comune, incarico che poi ha dovuto lasciare in seguito alle polemiche.

Ma i personaggi ruspanti della Fascistopoli di Alemanno sono molti. Un componente della sua segreteria politica, Giorgio Magliocca, ex sindaco di Pignataro Maggiore (CE), fu arrestato e processato per associazione mafiosa, in quanto considerato legato ai clan Lubrano-Ligato, vicini a Pippo Calò, dominus di Cosa Nostra nella capitale, verso il quale convogliavano i capitali per il riciclaggio sui conti dall’altra parte del Tevere. Francesco Maria Orsi, ex carabiniere passato alla professione di broker specializzato in aste immobiliari, specializzato in cene elettorali, festini hard a base di cocaina ed escort, che ha rivestito il ruolo di assessore al Decoro urbano e la delega per l’expo di Shangai. Un’inchiesta dell’Unità documentò una relazione d’affari tra Orsi e Gennaro Mokbel emersa nell’inchiesta Phuncard-Broker che ruotava intorno alla figura del maggiore Luca Berriola della Guarda di Finanza, amico di Orsi e Mokbel, membro della rete di riciclaggio.

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Francesco Orsi

Il nome di Orsi spuntò anche in una inchiesta campana, una truffa stimata in 20 milioni di euro, orchestrata da un avvocato di Benevento, Giancarlo Di Cerbo, basata sulla riscossione di contributi dovuti dalla regione Campania alle vittime di malasanità, erogati in ritardo. Le famiglie si rivolgevano ad un avvocato beneventano che stipulava un accordo con quota lite con i clienti, con la delega poi riusciva ad ottenere fino 40.000 euro a famiglia senza versare loro niente. Una parte del denaro finiva in una filiale della Banca Mediolanum di Roma, su conti intestati a prestanome, o intestatari fittizi, insieme agli assegni riscossi per un’altra truffa ai danni di Assitalia. Gli incontri per la consegna del denaro avvenivano nel Salaria Sport Village di Diego Anemone.

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Federica Gagliardi

Orsi potrebbe essere uno dei protagonisti dello scandalo imminente, che potrebbe collegare, come un filo di Perla, tutte o parte significativa delle monadi di questa galassia oscura, questo torbido intreccio tra servizi, narcotrafficanti, imprenditori rapaci, faccendieri e politicanti che ha interessato l’ultima fase del berlusconismo. Altri tasselli del mosaico potrebbero infatti emergere dalla collaborazione con la giustizia della misteriosa Dama BiancaFederica Gagliardi, la quale era con Valter Lavitola sui voli di Stato delle missioni di Berlusconi a Panama ed in Brasile, introdotta nell’entourage del presidente da qualcuno che forse potrebbe essere il vero destinatario della soffiata che ha portato al suo arresto, il 13 marzo scorso, all’aeroporto di Fiumicino, in possesso di 24 kg di polvere bianca purissima…


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Un pensiero su “NIKI APRILE GATTI, ADAMO BOVE E IL FILO DI PERLA….

  1. Andreina Ghionna

    E’ un articolo sconcertante, ed è il lavoro di un giornalista che scrive coi mezzi che ha!
    E i magistrati? Le autorità? L’avranno letto? E i loro mezzi per arrivare alla verità, quali sono?
    Li usano?
    Con la volontà tutto si può, senza la volontà rimane il grande lavoro del giornalista, ma alla fine è solo carta.
    Sempre in attesa del fantomatico magistrato che riapra il caso di Niki.

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